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I GIOVANI D’OGGI AL LIMITE TRA RISORSE E DISAGIO PER IL TERRITORIO: SVILUPPARE LA RESILIENZA GIOVAN



Antoine-Marie Roger de Saint-Exupéry scrisse «Fai della tua vita un sogno, e di un sogno, una realtà». Mi chiedo quanto proprio in questo periodo di crisi economica e politico-sociale, sia fondamentale partire da una domanda: i giovani d’oggi possono ancora permettersi di “sognare” il proprio futuro ed impegnarsi a rendere i sogni concretamente realizzabili? Oppure sono vittime di un sistema che propone come unico modello la rassegnazione, la mancanza di ideali e ancor più di progettualità?

E se così fosse, cosa fare per contrastare un sistema così precostituito?

Voglio citare ora Papa Giovanni XXIII: «Molti oggi parlano di giovani; ma non molti, ci pare, parlano ai giovani». In effetti ci interfacciamo con un’informazione apparentemente esaustiva sia nei termini della prevenzione primaria nelle scuole sia in quelli di prevenzione secondaria attraverso gli interventi attivati dai servizi sociali; tuttavia, a livello territoriale comunale sarebbe auspicabile realizzare e monitorare attraverso una verifica in itinere, i singoli progetti per i quali potenzialmente si potrà ancora investire.


Molto si parla di disagio giovanile, ma occorre ricordare che indica una complessità di comportamenti alla cui base vi è un’altrettanta complessità di fattori che concorrono ai diversi fenomeni, espressioni proprio di quel disagio. Ricordo, in tal senso, che elementi personali, fisiologici ed ambientali possono influenzare il giovane da un punto di vista psico-sociale, in quanto rappresentativi, nel contempo, sia di fattori di protezione che di rischio, facilitando o meno quei comportamenti a rischio che risultano, invece, caratteristici della fascia adolescenziale e quindi dello sviluppo stesso dell’individuo.

L’adolescenza, infatti, è un periodo in cui l’individuo affronta conflittualmente cambiamenti fisiologici e psicologici parallelamente alla messa in discussione del mondo adulto, costruendo gradualmente la propria identità. In questa cornice, rischiare per il giovane significa mettersi alla prova, scoprendo e valutando di volta in volta le proprie capacità e limiti. Se tale comportamento assume una valenza “costruttiva”, l’adolescente si avvicina allo sport, attività artistiche, ecc… al contrario, l’energia sarà investita in modo “distruttivo”, ad esempio attraverso il drop-out scolastico, antisocialità o tendenze anticonservative. Non si può non ricordare quanto il sottosviluppo economico e sociale, la precarietà reddituale di gran parte delle famiglie, il basso grado di istruzione e la scarsa motivazione verso la scolarizzazione dei figli tendano a favorire tali fenomeni, contribuendo allo sviluppo di bassa autostima e scarso senso di autoefficacia.


A questo punto mi chiedo: ma se sviluppare le risorse costruttive e vitali dei giovani, adulti del futuro, porta ad un contenimento del disagio e quindi ad un cambiamento, come mai, nonostante l’interesse di molti verso l’area del sociale, questi aspetti non vengono presi realmente in considerazione?

Perché meravigliarsi, poi, se l’energia dei ragazzi rimane bloccata, inutilizzata per sé e per il contesto, o indirizzata in modo distruttivo?

Perché meravigliarsi se aumenta l’abuso di alcol, droghe, dipendenza da gioco, new addiction in genere e fenomeni come il bullismo e cyberbullismo?


E’ fondamentale ricordare che si tratta di comportamenti che rivelano una fragilità psicologica, una bassa tolleranza alle frustrazioni, ricercando impulsivamente la soddisfazione illusoria nella cultura dell'evasione e portando a conseguenze patologiche di ordine psichico e organico: l'uso di sostanze e alcol induce dei disagi psicologici, fisici e sociali; tutto ciò può essere associato ad un’altra dipendenza, quella da gioco tra l’altro in continuo aumento anche tra i giovani.

In generale, la componente aggressiva è essenzialmente rappresentata da comportamenti che mirano a recare danno a sé o ad altri. Condotte aggressive, vessatorie e intimidatorie, sono sempre più frequenti nei confronti dei coetanei e talvolta anche degli adulti e sono espressione di una fragilità psicologica negata mediante l’uso del potere, che come sappiamo dalle notizie dei media e dalle ricerche, sempre più frequentemente possono avere conseguenze significative sullo sviluppo psicologico delle vittime, determinando l’insorgenza di depressione, scarsa autostima, vulnerabilità.


Tuttavia, è altrettanto fondamentale ricordare la sempre più rilevante esigenza di ideare e attuare progetti di prevenzione e intervento nel contesto scolastico e territoriale allargato, che favoriscano sani stili di vita, promozione del benessere psicologico dei giovani, sviluppo della prosocialità, quindi, potenziamento di competenze relazionali, mediante l’acquisizione di adeguate modalità comunicative, gestione dello stress e nuove strategie per la soluzione di problemi. In altre parole, direi progetti che promuovano e rafforzino la capacità resiliente di ciascun individuo nel corso dello sviluppo!


Lo psichiatra Romeo Lucioni,[1] che per lungo tempo ha studiato ed approfondito il tema della resilienza, la definisce: «Essere o diventare resilienti significa, per il soggetto, scoprire una vita che appartiene interamente a lui, sentire di essere nel giusto, nella via più consona per creare il proprio destino. Sentire d’aver bisogni di cambiare è il primo segno della rinascita e dello scoprire la propria libertà ed il proprio destino».[2]


In un certo senso, sviluppare, attivare, e potenziare caratteristiche resilienti negli individui fin da piccoli, favorirebbe senz’altro la crescita di persone, futuri cittadini, maggiormente integrati e adattabili, facendo fronte alle avversità della vita.

Promuovere la resilienza di certo non è semplice, anzi si tratta di un processo notevolmente complesso in cui confluiscono diversi fattori, ma non impossibile! In tal senso lo scopo di questo articolo è proporre una riflessione aperta a tutti ed, in particolare, auspico ad una progettualità responsabile e competente delle amministrazioni territoriali: contenere il disagio, aspirare a diminuirlo e sviluppare le risorse dei giovani, in fondo, concorrerebbe allo sviluppo sociale e… della buona amministrazione!


[1] Romeo Lucioni è direttore di ISSAF, Istituto Superiore delle Scienze Affettive a Tradate (Va), in cui è presente un laboratorio di scienza sull’implementazione della timologia e della resilienza, nella prevenzione e nel recupero del disagio e dei disturbi dello sviluppo. Inoltre, è presidente di AIPREC, Associazione Italiana Prevenzione e Riabilitazione e Cura, e direttore di CISA, Centro Italiano di Scienze Affettive.


[2] Lucioni Romeo, Timologia e resilienza: possibilità per uno sviluppo articolato e sicuro, Edizioni Hualfin, 1-28, 15, in www.adhikara.com (9-10-2016).


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