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L'arte Gruppoanalitica...riflessioni in pratica

di Catia Ciancio


Abstract L’articolo espone inizialmente un excursus teorico di quelle radici storiche fondamentali nel lavoro gruppoanalitico, per evidenziarne la funzionalità nella pratica clinica con pazienti psichiatrici e presenta un progetto realizzato in una comunità terapeutica di Roma allo scopo di proporre la possibilità di lavorare attraverso un approccio integrato, in senso arte-gruppoanalitico, alla riabilitazione psico-sociale dei pazienti.


Abstract This article exposes a theoretical excursus of fundamental historical roots in the group-work, to underline the functionality in clinical practice with psychiatric patients and presents a project which is carried out in a therapeutic community of Rome. This project aims to present an opportunity to work in an integrated approach for the psycho-social rehabilitation of patients according to a vision based on art-group analysis.

I fondamenti: dalla psicoanalisi alla gruppoanalisi Per comprendere i fondamenti gruppoanalitici è importante riportarci a quei “semi” che seppur non riconosciuti hanno generato una fertile teorizzazione. Secondo Kaës (1999), nell’opera di Freud si possono rintracciare tre modelli che riconduco in qualche modo al concetto di raggruppamento. Il primo consiste nella mutua identificazione tra determinati soggetti, costituendo per la psicoanalisi la prima manifestazione di un legame emotivo con un'altra persona che dà la possibilità di creare lo spirito di corpo. Ciò è esposto, in “Totem e Tabù” e si basa sulla fine dell'orda paterna, con l'uccisione del padre originario da parte dei fratelli (Freud, 1914). In “Psicologia delle masse e analisi dell'io”, Freud introduce un secondo modello di raggruppamento, che si attua tramite l'identificazione: ogni singolo è un elemento costitutivo di molte masse, tramite l'identificazione è soggetto a legami multilaterali e ha edificato il proprio ideale dell'Io in base a modelli più diversi. Il terzo modello è introdotto nella sopracitata opera e trattato più esaurientemente in “Il disagio della civiltà” e si basa sulla mutua rinuncia alla soddisfazione sessuale diretta. Così ha inizio l' excursus, su quei fondamenti che, in qualche modo, prevedono un approccio gruppo analitico, all’epoca inesprimibile. Il lavoro “archeologico” di Freud verso la scoperta e poi la risignificazione, nel gruppo porta a vedere l’universo con gli occhi di un altro, vedere i cento universi che ciascuno vede, che ciascuno è (Proust, La prigioniera). A questo punto vorrei porre l’attenzione sul concetto di gruppalità interna: una storia che si intreccia con altre storie, una “rete di relazioni che si estende al di là dei confini spaziali (...)” (Napolitani D., 2006, p.37). Proseguendo in questo excursus, troviamo lo psicoanalista americano Trigant Burrow che ha contribuito all'evoluzione della terapia di gruppo. Secondo Burrow, infatti, il luogo e l'ambiente più adeguati per la guarigione di disturbi sorti nel contesto dei rapporti sociali, è il gruppo, affermando a tal proposito “[…] Se la società ammala, il gruppo cura” (Burrow, 1926, p. 271). Nel 1925, Burrow introduce il termine "gruppoanalisi"1: il gruppo diviene, così, uno strumento indispensabile al fine della cura dei pazienti, un agente attivo della terapia. Egli ritiene che il materiale verbalizzato nella terapia individuale (fantasie, conflitti) possa esprimersi anche in gruppi ampi, in cui vi riconosce le relazioni di transfert e l'uso dei meccanismi di difesa. Sostiene che la peculiarità del gruppo consiste nel diminuire le resistenze, in quanto la situazione reciproca e condivisa permette ai pazienti di eliminare la segretezza, evidenziando così il carattere sociale del disagio individuale. Prima Burrow e poi Foulkes giungono alla gruppoanalisi e ne rivendicano l’imprescindibile specificità, dichiarando come il presupposto essenziale che distingue dalla prospettiva psicoanalitica, sia considerare il conflitto individuale come un sintomo di un conflitto sociale (Burrow, 1926). Foulkes, che già conosceva le opere di Burrow, dopo un lungo lavoro con 50 pazienti, mette a punto alcuni elementi di metodo ed inizia a fissare le prime regole (rispetto al numero delle sedute, alla durata, all'argomento, al setting), fondamentali a quella che diventerà, come la definisce De Marè (1972), l'analisi mediante il gruppo: quel sistema inter-azionale che mira a coinvolgere il soggetto nella sua dinamica (Ancona, 1999). Foulkes ritiene che il grande merito del suo predecessore sia quello di aver attribuito al gruppo un ruolo di primo piano. Tuttavia, osserva che il gruppo non viene trattato in senso dinamico, ossia come una rete d'interazione e che la filoanalisi non è una forma di terapia, in quanto solo la specie nel suo insieme potrebbe rimediare all'errore filogenetico. La considerazione Foulkesiana vede il funzionamento della mente, come un fenomeno trans-personale e trans-generazionale, con il sedimentarsi delle modalità relazionali familiari. Ecco, quindi, l’analisi attraverso il gruppo (by the group), attraverso il processo che si attua dalla matrice di base per evolvere in quella dinamica. Il gruppoanalista, amministratore democratico, direttore di quell’orchestra dove le diverse note hanno il potere di creare una sinfonia armonica, pone attenzione al processo, attraverso il quale il gruppo attraversa emozioni, affetti, pensieri del singolo membro. In tal modo, si assesta nella mente del terapeuta un gruppo, che tende a superare la dicotomia individuo-gruppo e si concentra sul processo comunicativo, in cui assumono rilevanza tanto l’individuo quanto il gruppo nel suo insieme. La gruppoanalisi, ponendo l’attenzione sul qui ed ora della situazione terapeutica, sposta l’accento sulle prospettive di guarigione, sulla direzione in cui debbono aver luogo i cambiamenti e sul modo di ottenerli. La gruppoanalisi, come progetto riabilitativo… Secondo Foulkes, il progetto terapeutico di una gruppoanalisi è simile alle altre psicoterapie per quanto attiene alla catarsi, al transfert, ai processi di identificazione e controidentificazione, di differenziazione e di proiezione. Tuttavia, nella situazione di gruppo agiscono alcuni fattori terapeutici che si possono ritenere specifici di un gruppo condotto gruppoanaliticamente, come ad esempio la condivisione e il rispecchiamento che facilitano l’espressione del materiale rimosso, questo, infatti, viene riconosciuto più facilmente in altri, permettendo una discussione ed un’analisi che, anche se riferita ad altri membri dello stesso gruppo, è rivolta contemporaneamente al singolo. Assume particolare importanza anche il fattore, attraversa di essa, infatti, si instaura una comunicazione inconscia tra due o più membri del gruppo. Infine, la polarizzazione consente ai vari membri la rappresentazione di un fenomeno unico attraverso più persone, ciò significa che ogni soggetto rappresenta un particolare aspetto di un problema ambivalente mostrandosi così eterogeneo. In tale direzione, Foulkes prospetta la realtà fenomenico-psicologica per la quale il soggetto umano, sin dall’inizio, si costituisce “in relazione a” un gruppo originario dal quale l’individuo viene artificiosamente estrapolato. Posso qui citare Diego Napolitani che ha ulteriormente e più efficacemente teorizzato: <“Si è” in quanto parte di una storia altrui, in quanto soggetto ad una trama transpersonale e transgenerazionale. L'esserci è il momento emergente della disposizione autopoietica che sottrae l'uomo dalla sua condizione di soggetto per acquisire la posizione di progetto: questa posizione qualifica l'attualità singolare dell'individuo non solo nel senso del suo qui ed ora ma anche nel senso del suo possibile attuare trasformazioni del proprio rapporto col mondo> (Napolitani D., 1987, pp. 183-194). L'esperienza personale di cui do in questo lavoro testimonianza, “è” in quanto utilizza tale teorizzazione e da quanto dirò della mia esperienza si evince come tale modello sia tributario non solo della psicoanalisi, della psicologia sociale, della sociologia, dell'antropologia e, infine, attualmente delle neuroscienze. La Comunità Terapeutica: un progetto integrato in una C.T. di Roma* Una premessa... In Italia, la riforma dell’assistenza psichiatrica ha preso avvio dall’impegno professionale ed umano di Franco Basaglia, il quale, per attenuare la sofferenza psichica del paziente psichiatrico e contenere le sue forme di espressione, ha dimostrato attuabile una forma di assistenza che non si limitasse solo a sfruttare le nuove opportunità offerte dagli psicofarmaci. L’idea innovativa di Basaglia è stata quella di utilizzare un nuovo strumento terapeutico, soprattutto per far riemergere e recuperare le potenzialità individuali dei stessi pazienti, finalizzando la “cura” al soddisfacimento dei loro personali bisogni e non omologandoli alle aspettative sociali che consideravano la “diversità” come un limite o un difetto d'integrazione. Con la legge 180, l’impegno terapeutico si è focalizzato sul mantenimento e sul recupero dell’integrazione del soggetto nel tessuto sociale, con la realizzazione di progetti personalizzati da parte di équipes multiprofessionali. In quest’ottica, le strutture territoriali, quali CSM e Comunità Terapeutiche, oltre ad assolvere a compiti terapeutici secondo un modello clinico, hanno da sempre disposto di finanziamenti, per promuovere attività tese a facilitare la riabilitazione e il reinserimento dei pazienti. E' da porre in rilievo la Comunità Terapeutica con autogoverno dei pazienti organizzata da Fabrizio Napolitani, prima a Kreuzlinger presso il Sanitorium Bellevu di L. Binswanger e poi a Roma. In tal modo, viene a costituirsi il prototipo delle Comunità Terapeutiche caratterizzate dalla cooperazione di diverse figure professionali quali, psichiatri, psicologi, assistenti sociali, infermieri e dal coinvolgimento dei pazienti psicotici. Da questi presupposti, ad oggi, l’obiettivo delle comunità terapeutiche è quello di riabilitare alla vita quotidiana, attraverso uno spazio dato al paziente, in cui poter riorganizzare una sua progettualità e ritornare all’interno di quei sistemi sociali che organizzano la vita fuori dell’ospedale psichiatrico. I pazienti della comunità terapeutica condividono, con altri, azioni quotidiane ed esperienze significative. L’attività del Laboratorio di Espressività attraverso l’arte è mirata a promuovere la reintegrazione delle capacità dei singoli, alterate o limitate dalla patologia, nell’ambito dell’espressione gestuale e motoria e, soprattutto, della manifestazione dei propri vissuti emotivi. La partecipazione all’attività di gruppo, attraverso il disegno in gruppo, offre ai pazienti l’occasione di rapportarsi tra loro e di interagire in un contesto favorevole e protetto, facilitando la reciproca conoscenza, la condivisione emotiva, la confidenza e la fiducia. L’attività è finalizzata soprattutto all’integrazione di quegli aspetti disgregati dell’Io, che caratterizza anche lo stile di relazione degli utenti. Quindi, attraverso gli aspetti proiettivi del disegno e la possibilità di reintegrazione veicolata dalle dinamiche di gruppo, si propone gradualmente una visione di insieme, più globale ed accessibile. Il laboratorio si basa su un approccio di psicoterapia integrata, in cui i concetti cardini della gruppoanalisi, tra i quali il rispecchiamento, la risonanza e la condivisione, si intersecano con quelli propri dell’arteterapia che, basata sul processo creativo, utilizza l’espressione artistica come strumento privilegiato di accesso, comunicazione ed espressione dei propri contenuti interni. Nell’anno 2008, a partire dal mese di luglio, è stato approvato quello che chiamo uno dei “progetti di vita” possibili all’interno di Comunità terapeutiche: tale progetto dal titolo “Laboratorio espressivo attraverso l’arte”, oggi è divenuto “Dipingere emozioni”, è stato avviato e continua nella Comunità Terapeutica”Mario Gozzano” dell’ASL RM-B sita in Salone. Come emerso dalla riunione d’equipe, il lavoro svolto finora ha cominciato a promuovere evoluzioni visibili, attraverso lo stile del disegno, nelle modalità comportamentali patologiche di ciascun partecipante e una maggior condivisione nell’interazione di gruppo rilevata nell’attività di laboratorio, così come nella quotidianità della vita in comunità. In tal modo, si è potuto rilevare come, attraverso la proposizione di un disegno di gruppo, in cui sia lo spazio (il foglio) che gli strumenti (colori, matite, etc.) sono unici per tutto il gruppo, emergano dinamiche di potere e modalità che il gruppo elabora per la risoluzione di conflitti, nonché il modo in cui ciascun membro si relaziona al gruppo. L’attività ha cominciato a svolgersi nel modo seguente:  accordarsi con i pazienti sul metodo generale, in questo caso della produzione del disegno in gruppo;  si procederà gradualmente iniziando da produzioni individuali, poi di coppia, al fine di promuovere la collaborazione mantenendo la libera espressione di ognuno;  raccogliere i contenuti dei disegni dei singoli pazienti;  favorire una costruzione collaborativa del punto di vista del paziente;  discutere e riformulare gli episodi ed i resoconti del paziente seguendo l’approccio integrato. Gli obiettivi del progetto sono: promuovere l’autonomia nella fase di allestimento del laboratorio e di riordino finale; sviluppare un modello condiviso del disegno di e in gruppo, garantendo una collocazione all’espressione personale e alla produzione finale del gruppo; facilitare l’espressione di valutazioni generali su di Sé e/o sulla propria storia personale; potenziare la coesione di gruppo attraverso l’atto creativo del disegno di gruppo e la condivisione della storia di gruppo; allestire una mostra rappresentativa del lavoro svolto. Il tutto si è “mosso” attraverso il gruppo di 12 pazienti psicotici con la partecipazione e condivisione di tre operatori della comunità e due conduttori. L’approccio integrato che definisco “arte-gruppoanalitico”, si basa essenzialmente sul concetto cardine dell’arteterapia, la quale favorisce l’espressione dei propri contenuti interni, attraverso simboli e metafore e coinvolgendo il soggetto in attività che implicano un impegno sensoriale e cinestesico e i presupposti teorici gruppoanalitici. L’espressione artistica funge infatti da fattore di protezione, contenimento e da oggetto mediatore nella relazione tra l’utente e il terapeuta e, così, pur rispettando i meccanismi di difesa, in qualche modo li aggira e favorisce la libera espressione del proprio mondo interiore e, se possibile, una maggiore autoconsapevolezza e attivazione di risorse creative. In un’ottica integrata, il disegno attraverso il colore, la forma, il tratto, consente di promuovere in pazienti psicotici, il processo “simbolico”4 che non può essere pensato, che non può esistere proprio perché non concreto. Risulta, così, importante continuare a favorire la libera espressione di ogni paziente attraverso la creazione di un disegno individuale e personale, da riorganizzare e rielaborare in un prodotto unico: il disegno di gruppo che sarà oggetto di discussioni, fatte di proiezioni e condivisioni emotive. L’attività di laboratorio si attua attraverso elementi che concorrono a restituire sicurezza all’esperienza di una reciproca e libera espressione di sé: da un lato, l’ambiente protetto nel quale si svolgono, assicura il contenimento nei limiti dell’accettabile, di espressioni e comportamenti propri ed altrui, per la presenza rassicurante dei conduttori del gruppo; dall’altro, la dimensione ludica che caratterizza tali attività, sdrammatizza i contenuti di ciò che viene espresso od agito, attenuandone le più drammatiche implicazioni emotive. In una seconda fase del laboratorio, successiva al disegno da parte di ciascun paziente, le creazioni vengono disposte al centro dando movimento concreto al disegno di gruppo, come fossero le tesserine di un puzzle ed ognuno, a turno decidendo quando esprimersi (quindi non in senso rotatorio), presenta il proprio disegno, descrivendolo. Gli altri membri del gruppo intervengono sottolineando proprie riflessioni partendo dai singoli prodotti artistici e spaziando con le associazioni. Al termine di ogni incontro, si è rivelato importante effettuare un post group con gli operatori che partecipano al gruppo, al fine di favorire le associazioni e i significati emersi durante il laboratorio. Concludo sottolineando che questo lavoro non si propone come un mero riassunto teorico, ma come la ricerca di quelle radici storiche fondamentali nel lavoro gruppoanalitico, là dove le storie dei pazienti, membri di un gruppo, si intrecciano le une con le altre aprendosi al riattraversamento delle proprie gruppalità interne... (Napolitani D., 1987).

*Cocondotto dalle dr.sse Catia Ciancio e Giusy D'apolito

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